La storia dell’alluvione di Firenze del 1966

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Il 4 novembre è ricordato a Firenze come la data della tragica alluvione del 1966, quando l’Arno ruppe gli argini e travolse la città con una violenza senza precedenti. In poche ore Firenze si ritrovò sommersa da acqua e fango, le sue strade trasformate in un fiume in piena, i suoi tesori artistici e culturali messi in pericolo. Un evento che mise in ginocchio la città e lasciò un segno profondo nella memoria collettiva del Paese.

L’alluvione di Firenze del 1966 è certamente stata una delle tragedie più grandi della nostra storia recente: l’Arno, dopo giorni di pioggia incessante, travolse la città trasformandola in un mare di fango. In poche ore, tutta la bellezza della culla del rinascimento si trovò sommersa, e con essa secoli di arte, cultura e vita quotidiana. Da quella tragedia però nacque una straordinaria reazione collettiva: fu coniata l’espressione “gli angeli del fango”, per indicare le migliaia di persone che accorsero da ogni parte del mondo per aiutare, spinti dal desiderio di salvare ciò che il fiume stava portando via, e che veniva percepito come un grande patrimonio comune.

Oggi, a distanza di decenni, l’alluvione del 1966 non è solo una ferita del passato, ma una lezione ancora viva sul valore della memoria, della solidarietà e della responsabilità. Ripercorriamo insieme quella storia: le sue cause, le sue conseguenze e le voci — anche musicali — che ne hanno custodito il ricordo.

Alluvione di Firenze: le ore che cambiarono la cittò

Era la notte tra il 3 e il 4 novembre 1966. Da giorni la Toscana era sotto una pioggia battente e incessante ma nessuno sembrava percepire un reale pericolo: le piene dell’Arno e dei suoi affluenti erano considerate eventi ricorrenti, quasi stagionali e la vigilia del 4 novembre, allora festa nazionale, contribuì a rendere l’atmosfera più tranquilla del solito, in quanto molte persone erano in casa, e le scuole e gli uffici erano chiusi.

Quando all’alba l’onda di piena raggiunse Firenze, la città si trovò improvvisamente sommersa: nel giro di poche ore, il fiume superò gli argini e invase le strade con una forza inattesa, trasformando la città in un’unica, immensa distesa fango. In alcuni punti il livello arrivò a tre metri d’altezza, sommergendo cantine, botteghe, archivi e laboratori artigiani.

Nel quartiere di Santa Croce, in via dei Neri, una targa ricorda il punto più alto raggiunto dalla piena: 4 metri e 92 centimetri. Non è l’unica presente nella città: le targhe che segnano le grandi esondazioni del passato, come quella del 3 novembre 1844, testimoniano quanto l’alluvione di Firenze del 1966 sia stata eccezionale per violenza e portata, raggiungendo un livello di distruzione mai visto prima.

1966, Firenze sommersa dal fango

L’acqua trascinava con sé di tutto: fango, nafta fuoriuscita dai serbatoi, tronchi, automobili, mobili, libri e opere d’arte. Il centro storico divenne un paesaggio irriconoscibile, dove solo i tetti delle chiese e dei palazzi spuntavano come isole in un mare di fango, quartieri interi rimasero isolati per ore. Molti abitanti cercarono rifugio ai piani superiori delle case, mentre l’elettricità e le comunicazioni si interrompevano in una città paralizzata. 

Ma la piena dell’Arno non colpì solo Firenze: l’intero bacino idrografico del fiume, dal Casentino fino alla foce, fu travolto. Molte zone rurali rimasero sommerse per giorni, i raccolti distrutti, le case isolate. Anche Pisa subì danni gravissimi: il crollo del ponte Solferino e del lungarno Pacinotti divenne il simbolo della devastazione a valle. In altre aree della Toscana, come la Maremma, l’esondazione dell’Ombrone provocò allagamenti estesi e intere città rimasero sott’acqua.

Quando, nel pomeriggio, la piena cominciò lentamente a ritirarsi, Firenze apparve devastata: 600 mila tonnellate di fango coprivano strade e piazze. Carabinieri, uomini della Polizia e dell’Esercito, Vigili del Fuoco convogliarono a Firenze per iniziare a far fronte all’alluvione. I soli Vigili del Fuoco, nella notte tra il 4 e il 5 novembre, riuscirono a mettere in salvo migliaia di persone, portando a termine oltre 9mila interventi. 

Le conseguenze dell'alluvione di Firenze: morti, sfollati e devastazione

Il bilancio dell’alluvione del ’66 è ancora oggi oggetto di discussione tra le fonti storiche: si contano tra 35 e 40 morti nella sola Firenze, e fino a 47 in tutta la Toscana. Ma i numeri da soli non bastano a raccontare la portata del disastro.

Più di 46.000 persone rimasero senza casa, i trasporti furono interrotti, la corrente elettrica mancò per giorni. I danni al patrimonio culturale furono incalcolabili: 1.500 opere d’arte furono distrutte o gravemente danneggiate, tra cui capolavori custoditi nella Basilica di Santa Croce, agli Uffizi e nei musei minori, mentre nella Biblioteca Nazionale Centrale oltre 1.300.000 volumi, tra incunaboli, manoscritti e libri rari, furono sommersi da acqua e fango.

Gli “angeli del fango”

ltre cha dall’acqua però, Firenze fu inondata anche dalla solidarietà di migliaia di giovani volontari, che accorsero da tutta Italia, ma anche dall’estero, per aiutare la popolazione colpita e per recuperare, salvandole dal fango, opere d’arte, dipinti, statue che altrimenti sarebbero andato perduti. Li chiamarono “gli angeli del fango”: lavoravano giorno e notte, spesso con le mani nude, per liberare le strade, ripulire i musei, salvare i libri impregnati d’acqua. Erano studenti, operai, artisti, sacerdoti, cittadini comuni, tutti insieme per salvare la memoria culturale collettiva dell’umanità.

Il termine “angeli del fango”, coniato dal giornalista Giovanni Grazzini sul Corriere della Sera, divenne presto sinonimo di coraggio civile e di speranza e la loro opera segnò una svolta epocale: per la prima volta in Italia si comprese davvero il valore del patrimonio culturale come bene collettivo da proteggere.
resilienza.

Le cause dell’alluvione di Firenze

Le cause dell’alluvione di Firenze del ’66 furono complesse, frutto di una combinazione drammatica di fattori naturali e umani. Le piogge torrenziali che colpirono la Toscana nei giorni precedenti avevano già gonfiato i torrenti e saturato i terreni, rendendoli incapaci di assorbire altra acqua; le dighe a monte dell’Arno, progettate per regolare il flusso, non riuscirono a contenere l’enorme volume accumulato e la conformazione stessa della valle dell’Arno, stretta e chiusa, agì come un imbuto, amplificando la velocità e la forza dell’onda di piena che si abbatté su Firenze.

A questi elementi si aggiunsero cause di origine umana: decenni di incuria, di scarsa manutenzione degli argini e dei canali, e un’urbanizzazione crescente lungo il corso del fiume avevano compromesso l’equilibrio idrogeologico della zona. In molte aree, gli alvei erano stati ristretti per far posto a nuove costruzioni o infrastrutture, riducendo la capacità del fiume di espandersi naturalmente in caso di piena.

Già all’epoca alcuni tecnici e studiosi avevano denunciato la fragilità del sistema di contenimento dell’Arno, tuttavia, gli avvertimenti erano rimasti inascoltati, anche perché le piene erano percepite come fenomeni tipici e non come segnali di un rischio imminente. Quando la pressione dell’acqua superò ogni limite, l’Arno ruppe gli argini e invase la città, travolgendo con sé tutto ciò che incontrava.

L’alluvione di Firenze del 1966 mise in evidenza quanto le scelte di gestione del territorio possano amplificare gli effetti di eventi naturali estremi e a distanza di decenni, resta un caso emblematico di come l’interazione tra natura e azione umana possa trasformare una piena in una catastrofe.

Le canzoni sull'alluvione di Firenze

In una città dove arte e ironia convivono da sempre, anche la musica trovò un modo per raccontare il dramma. Tra le canzoni dedicate all’evento, la più celebre resta “L’Alluvione” di Riccardo Marasco, scritta sul testo originale di Enrico Novelli.

Si tratta di una ballata che ogni fiorentino conosce: malinconica e goliardica al tempo stesso, racconta la tragedia con lo spirito tipico della città, quello di chi sa piangere, ma anche sorridere della propria sventura.

Non è solo una canzone, ma un simbolo: la prova che, anche nel fango, Firenze ha saputo mantenere intatta la propria anima ironica. Ancora oggi, L’Alluvione viene cantata nelle osterie e ricordata durante le commemorazioni del 4 novembre, come atto d’amore verso una città che non si è mai arresa.

Firenze ferita, ma non sconfitta

L’alluvione del 1966 non fu soltanto un evento meteorologico eccezionale: fu un momento di svolta nella storia di Firenze e dell’Italia. Da quella tragedia nacquero nuove tecniche di restauro, leggi sulla tutela dei beni culturali e una consapevolezza civile più matura.

Nel fango nacque un nuovo modo di essere comunità, fatto di solidarietà e di responsabilità condivisa. Oggi, ogni volta che il 4 novembre si ricordano quei giorni, Firenze non celebra soltanto la memoria del dolore, ma anche la forza della rinascita, trasformando così l’alluvione di Firenze del 1966 in un simbolo universale di resilienza.

Paola Greco

Foto di apertura: Ricce, Public domain, via Wikimedia Commons