Tsunami: dalla spiegazione ai più disastrosi della storia

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Lo tsunami rappresenta uno dei più potenti fenomeni naturali, con un impatto potenzialmente devastante. Comprenderne la natura, le cause, e i segnali premonitori può fare la differenza in termini di prevenzione e intervento. Dall'Sumatra tsunami agli eventi meno noti in Mediterraneo, il fenomeno richiede attenzione costante da parte della comunità scientifica e delle autorità competenti, per proteggere popolazioni e territori.

Un’onda che corre più veloce di un aereo, capace di attraversare oceani interi senza quasi farsi notare, e che al momento dell’impatto con la costa si trasforma in una muraglia d’acqua devastante. È questo, in poche parole, uno tsunami. Nel corso della storia gli tsunami hanno provocato centinaia di migliaia di vittime: dallo tsunami a Sumatra del 2004, che ha travolto l’Oceano Indiano causando oltre 230 mila morti, fino al disastro di Fukushima in Giappone nel 2011. Ma purtroppo non si tratta di fenomeni lontani: il rischio tsunami è un pericolo reale anche nel Mediterraneo, e la storia dell’Italia, col catastrofico terremoto-maremoto di Messina del 1908, lo dimostra ampiamente. Scopriamo insieme cos’è uno tsunami, come si forma, come riconoscerlo, quali sono stati i casi più devastanti e perché anche il nostro Paese non può considerarsi al riparo.

Tsunami: cos'è e come si forma

La parola "tsunami" deriva dal giapponese e significa "onda nel porto" o "onda anomala", identificando così già nel nome la sua natura estremamente potente e pericolosa.
A differenza delle onde normali, superficiali e generate solo dal vento, uno tsunami muove un’intera massa d’acqua, dal fondale marino fino alla superficie: è come un’enorme spinta che solleva tutto il mare, non solo la parte visibile.

In mare aperto queste onde possono sembrare innocue: spesso non superano mezzo metro di altezza, tanto che un’imbarcazione difficilmente se ne accorge. Ma la loro lunghezza d’onda – cioè la distanza tra una cresta e l’altra – può estendersi per centinaia di chilometri. È questa caratteristica a permettere all’onda di propagarsi a velocità impressionanti, fino a 700–900 km/h, simili a quelle di un aereo di linea.

Quando però lo tsunami si avvicina alla costa, la profondità dell’acqua diminuisce bruscamente e l’onda, che porta con sé una quantità enorme di energia, rallenta e “si comprime”: la stessa energia che in mare aperto era distribuita in verticale su chilometri d’acqua, viene ora concentrata in pochi metri di profondità. È in questo momento che il mare si innalza e l’acqua si trasforma in un muro che può raggiungere decine di metri, scaricando sulla costa un potere distruttivo devastante.

Ma come si forma uno tsunami? Nell’80% dei casi, l’origine è un terremoto sottomarino, che provoca la deformazione rapida del fondale marino a causa dello scorrimento di faglie tettoniche. Lo spostamento verticale di grandi porzioni di fondale fa sollevare o abbassare l’acqua sovrastante, originando onde molto lunghe e potenti. Oltre ai terremoti, cause meno comuni sono le frane sottomarine e le eruzioni vulcaniche marine, mentre eventi come l’impatto di meteoriti sono estremamente rari. 

Gli tsunami più disastrosi della storia

Nel corso della storia ci sono stati tanti tsunami devastanti. Qui sotto trovi la lista dei più pericolosi.

  • Tsunami di Sumatra - Tra gli eventi più tragici e disastrosi, va certamente ricordato lo tsunami del 26 dicembre 2004, risultato di un violentissimo terremoto di magnitudo stimata 9.1-9.3 al largo della costa nord-occidentale di Sumatra, in Indonesia. Il sisma, durato 8 minuti ed avvertito dai sismografi di tutta la Terra, è stato il terzo più violento degli ultimi 60 anni ed ha generato un maremoto manifestatosi con onde alte fino a 51 metri. Si tratta di uno dei maremoti più devastanti della storia moderna - con oltre 230.000 vittime - che interessò l’intero sud-est asiatico, giungendo a lambire le coste dell’Africa orientale.
  • Tsunami di Lituya Bay - Non meno noto è lo tsunami di Lituya Bay famoso per essere stato il più alto del mondo, avvenuto il 9 luglio 1958 in Alaska, causato da un terremoto di magnitudo compresa tra 7,8 e 8,3, e con il massimo di intensità nella scala Mercalli, che innescò una frana sottomarina dal volume di circa 90 milioni di tonnellate e che generò nella stretta insenatura un’onda con un run-up (altezza topografica massima raggiunta dall’acqua durante un maremoto, rispetto al livello del mare) di 524 metri, un record assoluto per altezza, benché con impatto fortunatamente limitato grazie alla ridotta popolazione dell’area, anche se fu udito a 80 chilometri di distanza.
  • Tsunami di Fukushima - Più recente, e tragicamente noto in tutto il mondo, è lo tsunami del Giappone del 2011, che travolse la regione di Tōhoku e la centrale nucleare di Fukushima. L’11 marzo di quell’anno, un terremoto di magnitudo 9.0 al largo delle coste nord-orientali scatenò onde alte fino a 40 metri, che spazzarono via città e villaggi interi. Oltre 15.000 persone persero la vita e centinaia di migliaia rimasero senza casa. Ma la catastrofe non si fermò alla distruzione immediata: l’acqua sommerse gli impianti della centrale di Fukushima Dai-ichi, bloccando i sistemi di raffreddamento dei reattori e provocando una delle peggiori emergenze nucleari della storia. Le immagini delle onde che si abbattono sulle città, trasmesse in diretta in tutto il mondo, sono diventate simbolo del potere devastante degli tsunami e hanno spinto la comunità scientifica internazionale a rafforzare i sistemi di allerta e i piani di evacuazione.

Questi eventi mostrano come la forza degli tsunami possa variare enormemente in base alle cause, alla geografia e alla densità abitativa delle aree colpite, ma anche come l’impatto possa essere catastrofico non solo per le vite umane, ma anche per l’ambiente e le infrastrutture, con conseguenze che durano decenni.

Tsunami in Italia e rischio nel Mediterraneo

Spesso si pensa che il Mediterraneo sia immune da tsunami, ma il rischio purtroppo è reale e non trascurabile: la conformazione tettonica, la presenza di vulcani attivi e frane costiere rendono possibile la formazione di onde anomale, anche se di solito di entità minore rispetto alle aree pacifiche.

Ciò, naturalmente, rende possibile l’eventualità di tsunami anche in Italia, specialmente nelle regioni costiere tirreniche, nelle isole Eolie e in altri bacini marini profondi con attività sismica. Il fenomeno, per quanto raro, è attentamente monitorato e studiato dalla Protezione Civile e dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

Ne è un esempio esemplificativo il devastante evento del 28 dicembre 1908, quando un terremoto di grande intensità colpì la zona di Messina-Reggio Calabria, sorprendendo gran parte della popolazione nel sonno e provocando gravi danni in un’area di circa 6 mila chilometri quadrati. Circa 10 minuti dopo la scossa, uno tsunami travolse entrambe le coste dello Stretto, con onde di oltre 10 metri e in poco tempo raggiunse l’isola di Malta.

Tsunami, come riconoscerlo: i segnali che salvano la vita

Non sempre c’è tempo per un allarme ufficiale. In alcuni casi, l’onda può arrivare troppo in fretta perché un sistema di allerta riesca ad avvisare tempestivamente. Per questo saper riconoscere i segnali naturali di uno tsunami diventa vitale: è ciò che può fare la differenza tra vita e morte.

  1. Il primo campanello d’allarme è un forte terremoto vicino alla costa, di quelli che rendono difficile restare in piedi. Quando la scossa arriva dal mare o dalle sue vicinanze, bisogna pensare subito a un possibile maremoto e spostarsi verso zone elevate senza attendere conferme.
  2. Un altro segnale inconfondibile è il ritiro improvviso del mare: in pochi minuti l’acqua arretra, lasciando scoperti ampi tratti di fondale, con rocce e barche arenate. È uno spettacolo insolito e affascinante, ma in realtà indica l’arrivo imminente dell’onda anomala, capace di sommergere rapidamente la costa.
  3. Anche un boato proveniente dal mare, simile al fragore di un tuono o al rombo di un aereo, può precedere l’impatto dello tsunami. Spesso non arriva una sola ondata: possono esserci più “treni d’onda” consecutivi, e la prima non è sempre la più alta o distruttiva.

Gli studi della Protezione Civile italiana sottolineano che la regola d’oro è semplice: in presenza di un terremoto costiero o di uno di questi segnali, non bisogna aspettare l’allerta ufficiale, ma correre subito verso luoghi sopraelevati. Conoscere questi indizi e reagire tempestivamente significa ridurre i danni e, soprattutto, salvare vite umane.

Paola Greco

Foto di apertura: Freepik